Argento in mostra
L’argento è anche protagonista di innumerevoli eventi che si sono svolti negli ultimi anni e che molto hanno fatto parlare di sé. Solo per citarne uno dei più e sensazionali, ricordiamo la mostra tenutasi durante l’estate e l’autunno 2007 presso il Palazzo Ducale di Urbino, in cui sono stati esposti pezzi di una sontuosa bellezza, portati alla luce dalle ricerche di due studiosi (Jennifer Montagu e Gabriele Barucca) sugli argentieri romani e marchigiani del ‘700.
Le opere erano parte di quelle “superstiti” all’ordine impartito ai sudditi da papa Pio VI nel 1797, secondo cui si dovevano consegnare manufatti preziosi per fonderli e pagare così Napoleone.
Crocifissi e reliquiari, busti e calici, ostensori e candelieri, cartegloria e navicelle hanno splendidamente documentato la varietà e la perizia delle botteghe pontificie del XVIII secolo. Vi erano presenti, oltre ai mitici Arrighi, tutti i più grandi, dai Giardini ai Giardoni, dai Belli ai Corandelli, dai Petroncelli ai Valadier. La rassegna urbinate ha offerto pure una sezione di argenti profani davvero spettacolari, con servizi da tavola, caffettiere e vassoi, campanelli e alzatine, candelabri, lucerne. E’ apparso a corredo della mostra anche un inedito “Taccuino di una bottega orafa”, che ha offerto una messe preziosa di segreti e procedure legate alla lavorazione dei metalli ed alla modellazione degli oggetti.
Dietro questo evento – dicevamo – è nascosto un curioso episodio storico, che è interessante raccontare più estesamente, anche per meglio comprendere certi italici caratteri rimasti a tutt’oggi.
Nel Febbraio 1797 Napoleone Bonaparte, per evitare l’invasione di Roma, pretese da Pio VI la cessione di molti tesori d’arte inestimabili e l’esborso in denaro di una cifra esorbitante. Il pontefice si trovò allora costretto a tramutare gli oggetti di oreficeria in moneta sonante procedendo alla requisizione forzata di oggetti preziosi appartenenti a chiese, monasteri, luoghi sacri.
Si trovo di fronte, però, un muro di gomma. Lo stesso clero mise in atto ogni stratagemma (armadi con doppio fondo, intercapedini, botole pavimentali, soffitte nascoste, ecc.) per consegnare il meno possibile, mentre i privati ricorsero ai più fantasiosi espedienti e furbizie per occultare i pregiati manufatti e dissimularne il valore. Ciò non impedì, tuttavia, che in quel frangente avvenisse la più grande distruzione di suppellettili che la storia dell’arte ricordi.